sabato 14 maggio 2011

Questo blog è per...

Questo blog è per tutti i SARDI 
QUI VI SALUTA  ROBERTA...SARDA D.O.C!
Ecco alcune espressioni sarde...anzi PAROLE!



ammassuladuaccovacciato
papapapa
tintola (Alghero)zanzara
viri, bìverebere
'achamucca
'arzolafalciola
'ccettaaccetta, ascia
'enerugenero
'enucruginocchio
'enucrufinocchio
'erruferro
'estirevestirsi
'estirevestito
'ichufico
'ichumuriscafico d'india
'idruvetro
'inuvino
'ortedducoltello
'ozzafoglia
'uchabocca
'uliaoliva
'unefune
a bbibbirìnosaccoccolarsi
a pimpirìnuaccoccolarsi
a pispirinàduaccoccolarsi
a s'imbriacaresbronzarsi
a si sèdere a pirimpinàuaccoccolarsi
a vizzinuadiacente
abàntzu, avantzuavanzo
abarrarerimanere
abastanziaabastanza
abbaacqua
abbaacqua
abbapioggia
abbabballocaduincantato
abbacotacolla
abbacotareincollare
abbadorzuabbeveratoio           
                                             espressioni sarde in onuresu!

Alcune esp. SARDE

Fazzu su scimpru po non pagai s'osteria!
Mi comporto da scemo per non pagare il conto. (fare finta di non capire)
Sardegna


Mellus a timmi che a provvai!
Meglio aver paura che provare (è meglio usare prudenza nell'agire).
Sardegna


Fora dae coru, fora dae pensamentu
Lontano dal cuore, lontano dal pensiero 
Sardegna


Trunch'e figu, hast'e figu
Tronco di fico, ramo di fico (Ovvero: tale padre tale figlio. Vedere anche Fizzu 'e attu). 
Sardegna


Traballu inutili, traballu maccu
Lavoro che non arreca utilità, lavoro pazzo
Sardegna


Traballu continu bincit ogni cosa
Il lavoro assiduo vince ogni cosa
Sardegna


Su tricu de Marzu non du messas attu
Il grano di Marzo non tagliarlo alto
Sardegna


Su traballu fattu cum coru, est aggradessiu a Deus
Il lavoro fatto con il cuore è gradito a Dio
Sardegna


Su traballu annunziada chini d’at fattu
Il lavoro stesso indica chi l'ha fatto. (Ovvero: nel bene e nel male, lasciamo la firma su tutto quello che facciamo) 
Sardegna


Su perdonare est de Deus, su ismentigare est de maccos. 
Il perdonare è di Dio, il dimenticare è dei pazzi
Sardegna

COLTELLO SARDO

LA STORIA DEL COLTELLO SARDO
Fin dai tempi più antichi, il coltello in Sardegna è stato un umile servitore nelle mani del pastore.
Adoperato per vari fini, si è ricavato un posto molto importante nella storia e nella cultura della nostra isola.
Riassumervi il suo percorso storico in due righe è impossibile, noi ci limiteremo a farvi capire il perché della sua notorietà e importanza.
I primi cenni storici parlano del  238 a.c., quando i Romani ma si pensa ancor prima i Fenici e i Cartaginesi si impadronirono dell’isola, attratti dalle sue enormi potenzialità in campo minerario metallifero.
Le vicissitudini dell’isola da quel periodo in poi furono molteplici col susseguirsi di lunghe colonizzazioni, dai Pisani alle dominazioni Aragonesi, con lo scopo unico di sfruttare quella ricchezza che, all’incirca da in decennio non copre più un piano di rilievo ma che, per secoli è stata l’economia portante del nostro territorio.
Le zone di massima estrazione erano le miniere del Sulcis - Iglesiente che per qualità e quantità non temevano competitori con il resto dell’Europa.
La popolazione dedita da sempre all’agricoltura e alla primaria e importante attività pastorizia, si trovò di fronte alla possibilità di professionalizzarsi in un altro settore, quello metallurgico.
Il popolo Sardo, forte delle conoscenze artigianali - manifatturiere apprese dalle vari colonizzazioni e delle vari tecniche dell’arrangiarsi che lo rapportavano al quotidiano, colse l’occasione e sfrutto questa grandezza mineraria.
L’abbondanza di argento, oro e di tanti altri metalli, permise di confezionare manufatti, che ancor oggi rivestono  un importanza e anno un valore conosciuto in tutto il mondo, tra i quali il coltello.
Il connubio tra pastorizia (attività primaria) e questo nuovo utensile, quale il coltello, fu immediato.
C’è chi disse che il coltello non era nient’altro che il prolungamento della mano del pastore.
Questo ci fa capire il perché della perfezione delle caratteristiche del  “coltello sardo”, che deve rispecchiare nella lunghezza, pesantezza, misura, tipologia della lama, conformazione del corno, le esigenze che andrà a servire.
Vi assicuro che ancor oggi vedere un pastore maneggiare il proprio coltello è un vero spettacolo.
Non considerato un semplice utensile, il coltello era ritenuto un compagno di vita di cui ci si poteva fidare ciecamente, una forma di virilità, un senso di sicurezza.
Con esso si potevano macellare le sue bestie, curarle, nutrirsi, difendersi, offendere e nelle lunghe giornate di solitudine con il proprio gregge, si prestava a strumento per intarsiare dei pezzi di legno insignificanti che nelle mani abili del pastore assumevano la forma di vere e proprie opere d’arte (tuttora si trovano delle lavorazioni sul legno, di rilevante importanza, eseguite con un semplice coltello).
La prima “leppa” (coltello) sarda non assomigliava a quella che conosciamo ma, era una sorta di spada che misurava 50/60 cm e veniva portata nella cintola (può ricordare il coltello arabo, che lo differenzia per la minor lunghezza e per quella sua curva così accentuata).
Sa “leppa” o “sa resorza”, veniva anche soprannominata “la spada del popolo”  perché all’occorrenza veniva usato per risolvere questioni personali che passavano attraverso il rito conosciuto come (sa stoccata), portando la lite ad un triste epilogo che finiva nel sangue.
Dei veri e propri regolamenti di conti che purtroppo, nell’entroterra, sono ancora radicati.
Basta pensare che con quel tipo di coltello si sono combattute diverse guerre per difendere l’isola dagli invasori e vi assicuro che i sardi con quell’arma ci sapevano fare molto bene!
Dopo l’entrata in vigore della legge che predispose  rigorosi limiti di dimensione alla lama, la leppa fu rivisitata nel suo aspetto ma conservandone le principali caratteristiche tradizionali.
Per l’appunto è stata consacrata la nuova “leppa” . Questo appena descritto non è l’unico tipo di coltello di cui la storia ci racconta.
Era la guerra del 15-18 quando i nostri soldati del Battaglione Brigata Sassari, memorabili a tanti per le sua gesta, sferrarono attacchi proprio con un coltello, ossia “la guspinesa”.
Coltello dalla punta mozza, sicuramente non offensivo ma evidentemente di sicura efficacia, visto che al grido –forza paris - i nostri fanti, gettando la baionetta a terra perché ritenuta scomoda, si scagliarono in una lotta corpo a corpo, facendo retrocedere le truppe avversarie , demoralizzate e impaurite da tanta enfasi e abilità nell’uso del coltello.
Negli anni il coltello sardo è diventato sempre più perfetto e funzionale per assolvere alle più svariate esigenze.

La storia della LINGUA SARDA

Il sardo (nome nativo sardu o limba sarda in logudorese, lìngua sarda in campidanese) è una lingua appartenente al gruppo neolatino (romanzo) delle lingue indoeuropee. È parlata nell'isola e Regione autonoma della Sardegna. Classificata come lingua romanza occidentale e considerata da molti studiosi la più conservativa delle lingue derivanti dal latino, è costituita da un insieme di dialetti. Sebbene i termini di origine latina siano molti, tuttavia, il sardo affonda le sue radici nelle lingue parlate prima dell'invasione dell'isola da parte dei Romani, tanto che si evidenziano etimi fenici e addirittura sumerici in molti termini. Si possono individuare due varianti principali: campidanese e logudorese-nuorese.
S'hymnu sardu nationale, composto da Vittorio Angius e musicato da Giovanni Gonella nel 1843, originariamente in campidanese (ma ne esiste anche una versione logudorese) fortemente latinizzata nella grafia, è stato il primo inno nazionale italiano (del Regno d'Italia, e prima di allora del Regno di Sardegna, unitamente alla Marcia Reale), rimasto in vigore fino al 12 ottobre 1946.
Dal 1997 la lingua sarda è lingua ufficiale della Sardegna, in regime di coufficialità con la lingua ufficiale dello Stato italiano.


Gruppi della lingua sarda e varianti

Il sardo propriamente detto viene comunemente distinto in due gruppi (diasistemi o varietà): il logudorese-nuorese (dialetti centro-settentrionali) e il campidanese (dialetti meridionali).
Pur accomunati da una morfologia e una sintassi fondamentalmente omogenee, le due varietà presentano rilevanti differenze di pronuncia e talvolta anche lessicali. All'interno di ciascun gruppo il sardo è comunque mutuamente comprensibile (le differenze sono fondamentalmente di tipo fonetico) e relativamente omogeneo.
Esistono inoltre numerosi dialetti che presentano delle caratteristiche appartenenti ora all'una, ora all'altra macro-varietà e risulta impossibile tracciare un confine netto tra logudorese-nuorese e campidanese.

Un discorso a parte va fatto per le seguenti varianti còrse, in quanto spesso vengono "geograficamente" considerati dialetti sardi ma hanno caratteristiche linguistiche sintattiche, grammaticali e in buona parte lessicali di tipo còrso/toscano e quindi nettamente differenti:

il gallurese, parlato nella parte nord-orientale dell'isola (Gallura), è di fatto una variante Còrso meridionale, conosciuto dai linguisti col nome di Còrso-Gallurese e nato verosimilmente a cavallo tra il XV e il XVII secolo a seguito di notevoli flussi migratori nella regione di genti Còrse.
il sassarese, parlato a Sassari, a Porto Torres, Sorso, Stintino e nei loro dintorni, possiede caratteristiche di idioma intermedio tra il gallurese (di cui conserva la grammatica e la struttura) e il logudorese (da cui deriva parte del lessico e della fonetica), caratteristica della sua origine comunale e mercantile, oltre all'influenza dei contatti con pisani, genovesi e catalani, castigliani, sardi, corsi e italiani.
Nella città di Sassari, comunque, il sardo logudorese è abbastanza diffuso per via di un'ampia immigrazione da centri sardofoni ed è anche insegnato come lingua minoritaria in alcune scuole.


Ambito di diffusione

Viene tuttora parlata in quasi tutta l'isola di Sardegna da un numero di locutori variabile tra 1.000.000 e 1.350.000 unità, generalmente bilingue (sardo/italiano) in situazione di diglossia (la lingua locale è utilizzata prevalentemente nell'ambito familiare e locale mentre quella italiana viene usata nelle occasioni pubbliche e per la quasi totalità della scrittura). Più precisamente, da uno studio commissionato dalla Regione Sardegna nel 2006 [5] risulta che ci siano 1.495.000 persone circa che capiscono la lingua sarda ed 1.000.000 di persone circa in grado di parlarla. In modo approssimativo i locutori attivi del campidanese sarebbero 670.000 circa (il 68,9% dei residenti a fronte di 942.000 persone in grado di capirlo), mentre i parlanti delle varietà logudoresi-nuoresi sarebbero 330.000 circa (compresi i locutori residenti ad Alghero, nel Turritano ed in Gallura) e 553.000 circa i sardi in grado di capirlo. Nel complesso solo meno del 3% dei residenti delle zone sardofone non avrebbe alcuna competenza della lingua sarda. In virtù delle emigrazioni dai centri sardofoni logudoresi e nuoresi verso le zone costiere e le città del nord Sardegna il sardo (nelle varianti, appunto, logudoresi e nuoresi) è, peraltro, parlato anche nelle aree storicamente non sardofone:

Nella città di Alghero, dove la lingua più diffusa, assieme all'italiano, è una variante del catalano di tipo orientale (che oltre al dialetto algherese comprende anche le parlate delle province di Barcellona, Girona, delle Isole Baleari), Il sardo è capito dal 49,8% degli abitanti e parlato dal 23,2%.
Nel centro di Arborea nel Campidano di Oristano, il dialetto veneto, introdotto negli anni trenta del novecento dagli immigrati veneti venuti a colonizzare il territorio è oggigiorno in forte regresso, soppiantato sia dal sardo che dall'italiano. Anche nella frazione algherese di Fertilia sono predominanti, accanto all'italiano standard, dialetti di tipo veneto-coloniale (in netto regresso) introdotti nell'immediato dopoguerra da gruppi di profughi istriani su un preesistente substrato ferrarese.
Nell'isola di San Pietro e parte di quella di Sant'Antioco, dove persiste il tabarchino, dialetto arcaizzante che fa parte della grande famiglia ligure, la lingua sarda è compresa dal 15,6% della popolazione e parlata dal 12,2%.
A Isili è invece in via di estinzione il gergo di origine zingara dei ramai ambulanti locali parlato solo da un ristretto numero di individui (Romaniska).
Per quanto riguarda il gallurese e il sassarese, per la maggior parte degli studiosi sono invece parlate sarde solo in senso geografico, poiché sotto il profilo linguistico sono considerati il primo come una variante del gruppo còrso, e il sassarese come una varietà di transizione tra il còrso e il sardo, per la notevole presenza di prestiti o persistenze lessicali e fonetici originari del logudorese. Il sardo è, comunque, capito da ben il 73,6% dei galluresi e parlato dal 15,1% degli stessi (specie nei comuni della fascia costiera), mentre nel Turritano è capito dal 67,8% della popolazione e parlato dal 40,5%.
L'area sardofona costituisce in ogni caso la più consistente minoranza linguistica in Italia riconosciuta dallo stato.

Benvenuti!

Benvenuti..miei compari...qui vi parla Roberta..non sarda pura...ma SARDA sicura...allora iniziamo subito nel post sopra!